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Con la risposta all’istanza di interpello n. 10 del 25 gennaio 2019, l’Agenzia delle Entrate fornisce alcuni interessanti chiarimenti riguardo al regime impositivo dei piani di welfare aziendale.

 

In particolare, l’Agenzia si sofferma, in primo luogo, sulle modalità di individuazione dei soggetti ammessi a beneficiare dell’esenzione di cui all’art. 51, comma 2, lett. f), TUIR, e, in secondo luogo, sull’efficacia negoziale del regolamento aziendale istitutivo di un piano di welfare ai fini della integrale deducibilità dei relativi costi dal reddito d’impresa del datore di lavoro ai sensi dell’art. 95, TUIR.

 

La fattispecie sottoposta all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate riguarda infatti l’implementazione, mediante regolamento aziendale unilateralmente predisposto dalla società datrice di lavoro, di un piano di welfare di durata annuale tacitamente rinnovabile (salvo disdetta espressa) in favore dei propri “managers” (ovvero, l’amministratore unico ed il direttore di sala) e del personale addetto alla sala, con esclusione degli addetti alla cucina e alla cassa.

 

Il concetto di “categoria” di dipendenti

 

Affinché i benefits erogati in attuazione di un piano di welfare non concorrano alla formazione del reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 51, comma 2, lettera f), TUIR, è necessario – tra l’altro – che essi siano offerti “alla generalità” o “a categorie” di dipendenti.

 

Configura una “categoria di dipendenti” un gruppo omogeneo di dipendenti identificati da un elemento comune che sia tale da impedire la concessione di erogazioni ad personam o a vantaggio solo di alcuni e ben individuati lavoratori (si veda, da ultimo, la Circolare del 29 marzo 2018, n. 5/E).

 

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate ha escluso che l’amministratore unico ed il direttore di sala possano configurare una “categoria di dipendenti”.

 

Quanto all’amministratore unico, ciò che difetta è innanzitutto l’esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. L’Agenzia delle Entrate richiama, in proposito, l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che nega la compatibilità tra la qualifica di amministratore unico di società e la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa. Se, in assoluto, non si può escludere che gli amministratori di società possano configurare una “categoria omogenea” (con la risposta all’interpello n. 954-1417/2016 l’Agenzia delle Entrate aveva riconosciuto la sussistenza di una “categoria di dipendenti” formata da due amministratori), nel caso di specie ciò è impedito dall’esistenza di un rapporto di totale immedesimazione organica tra la persona fisica e la società e dalla conseguente assenza del requisito della subordinazione. Assenza di subordinazione facilmente rilevabile nel caso esaminato, ove il regolamento istitutivo del piano di welfare sarebbe sottoscritto dal solo amministratore unico. Trattandosi, inoltre, di un unico individuo, l’erogazione non potrebbe comunque considerarsi destinata ad una “categoria” di dipendenti, come richiesto ai fini dell’applicazione del regime di esenzione di cui all’art. 51 comma 2, lett. f) e ss. del TUIR.

 

Anche con riferimento ai benefits offerti al direttore di sala l’Agenzia delle Entrate ritiene non applicabile il regime di esenzione in esame poiché l’erogazione in natura sarebbe parimenti destinata ad un unico individuo e non ad una “categoria” di dipendenti.

 

L’efficacia “negoziale” del regolamento aziendale istitutivo del piano di welfare ai fini della deducibilità integrale dei relativi costi di erogazione ai sensi dell’art. 95 del TUIR

 

Nella risposta in esame l’Agenzia delle Entrate fornisce inoltre importanti indicazioni in tema di deducibilità dal reddito d’impresa dei costi sostenuti dal datore di lavoro per l’implementazione di un piano di welfare.

 

A tal proposito, occorre innanzitutto osservare che ai fini dell’IRES i costi in esame sono integralmente deducibili come spese per prestazioni di lavoro ex art. 95 del TUIR solo se relativi a benefits concessi dal datore di lavoro in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento che configuri l’adempimento di un obbligo negoziale. Diversamente, se i benefits sono erogati “volontariamente” da parte di quest’ultimo, i relativi costi sono deducibili nei limiti del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente dell’esercizio ai sensi dell’art. 100, comma 1 del TUIR.

 

Prima dell’intervento in commento, alcuni dubbi erano sorti con riguardo ai piani di welfare istituiti tramite regolamento aziendale.

 

Ci si domandava, in particolare, se, per consentire la deduzione integrale dei costi, il regolamento istitutivo del piano di welfare dovesse necessariamente risultare “attuativo” di un’obbligazione assunta dal datore di lavoro in sede di contrattazione collettiva o se, invece, fosse sufficiente la predisposizione di un regolamento aziendale che, pur essendo emanato su iniziativa del datore, fosse comunque idoneo a costituire un vincolo negoziale tra le parti.

 

Già la dottrina si era espressa in favore di questa seconda interpretazione (ASSONIME, Circolare n. 15/2018), anche alla luce dei chiarimenti di prassi già forniti dall’Agenzia delle Entrate (si veda la risposta all’interpello n. 954-1417/2016).

 

Con la risposta in commento, l’Agenzia delle Entrate conferma tale interpretazione, riconoscendo che i costi relativi all’implementazione di un piano di welfare istituito tramite regolamento aziendale unilateralmente predisposto dal datore di lavoro possono essere integralmente dedotti ai sensi dell’art. 95, TUIR, a condizione che il predetto regolamento risulti irrevocabile ed immodificabile (se non a beneficio dei destinatari) da parte di quest’ultimo; è ciò anche nel caso in cui il piano abbia durata annuale e sia tacitamente rinnovabile, salvo disdetta espressa proveniente da una delle parti coinvolte.

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