LA FATTISPECIE

Il caso di specie, attinente al 2011, trae origine dalla rinuncia da parte del contribuente al trattamento di fine mandato (in qualità di amministratore) accantonato a suo favore per le annualità dal 1998 al 2006 dalla Società ALFA S.r.l., di cui era anche socio.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e cassato la sentenza della C.T.R. della Toscana, la quale, accogliendo l’appello della parte contribuente, aveva stabilito che la capacità contributiva che legittimamente può essere colpita deve essere concreta e non meramente astratta e virtuale.

CONCLUSIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE

La Suprema Corte, richiamando precedenti pronunce, ha stabilito che la rinuncia al trattamento di fine mandato costituisce, dal punto di vista giuridico, un incasso e, come tale, è soggetto a tassazione.

Tale incasso presuppone la possibilità di disporre di una somma di denaro e costituisce espressione della volontà di patrimonializzare la società.

Si tratta, infatti, del conseguimento di un credito il cui importo, anche se non materialmente incassato dal socio-amministratore, incrementa il patrimonio della società, comportando un aumento del valore delle quote sociali dell’amministratore.

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