L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 51 del 3 agosto 2021, si esprime in merito all’ambito applicativo dell’art. 6, comma 6, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (D. Lgs. n. 471/1997).

In particolare, essa fornisce indicazioni in merito alle sanzioni applicabili e alle modalità di esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA nelle ipotesi di erroneo assolvimento dell’IVA.

L’art. 6, comma 6, del D. Lgs. n. 471/1997, prevede che «Chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al novanta per cento dell’ammontare della detrazione compiuta. In caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, l’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale».

Richiamando l’interpretazione data alla suddetta disposizione dalla Corte di Cassazione (in particolare, dalla sentenza n. 24289 del 3 novembre 2020), l’Agenzia delle Entrate conferma che, nelle ipotesi di operazioni imponibili, l’applicazione dell’IVA in misura superiore rispetto a quella effettivamente dovuta comporta l’irrogazione della sanzione fissa (compresa tra euro 250 ed euro 10.000) ma che il cessionario/committente conserva il diritto alla detrazione dell’IVA.

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